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05 luglio 2013 - 06 ottobre 2013, Heleneum - Lugano
Figure umane ed effigi del divino, forme «danzanti» espressione di bellezza, di leggerezza e di dolcezza.
L'esposizione presenta al pubblico una selezione di opere d'arte originarie dell'India, dell'Indonesia e del Giappone, impiegate in diverse epoche storiche nel contesto di cerimonie, di festività oppure in specifiche situazioni della vita quotidiana. Si tratta per lo più di figure umane ed effigi del divino che manifestano nel migliore dei modi le peculiarità stilistiche e culturali delle popolazioni che le hanno prodotte. Il nucleo di di 33 opere d'arte in esposizione è parte della generosa donazione fatta al Museo delle Culture da Randolph Riemschneider, chimico e collezionista tedesco che a partire dagli anni Cinquanta del Novecento ha riunito a Lugano un'importante collezione di opere d'arte orientale ed etnica. L'esposizione è frutto della collaborazione con il collezionista e del capillare lavoro di ricerca che ha visto il Museo delle Culture impegnato dal 2012.
Il filo conduttore del percorso espositivo, che si compone di tre diverse sezioni, trascende le peculiarità stilistiche delle diverse tradizioni artistiche per evidenziare una caratteristica generale delle opere esposte, seguendo uno dei criteri impiegati dal collezionista per raccogliere opere d'arte orientale: l'idea di «movimento» che, attraverso la sinuosità delle forme e la dinamicità che caratterizza le azioni dei personaggi di volta in volta raffigurati, enfatizza la loro vitalità, rendendoli quasi delle forme danzanti. Nella prima sezione della mostra sono esposte antiche opere lignee dell'India meridionale tradizionalmente utilizzate in distinti contesti cerimoniali. Il primo contesto è quello della festa dei carri processionali, impiegati in celebrazioni di carattere periodico per trasportare le divinità fuori dal tempio al fine di benedire i fedeli. Si tratta, nello specifico, di pannelli lignei e di sculture che raffigurano divinità, esseri soprannaturali e animali, espressione in senso lato delle ideologie locali e dei valori latenti correlati alla cerimonia, utilizzati per decorare i carri. Il secondo contesto è quello delle performance teatrali di carattere rituale e delle cerimonie ed esse correlate, dove le maschere erano indossate da un danzatore in trance che fungeva da tramite tra gli dèi e la comunità al fine di portarle consiglio, oppure dove erano portate in processione con la funzione di benedire gli abitanti del villaggio. La seconda sezione è dedicata a un gruppo di opere indonesiane impiegate in rappresentazioni teatrali di carattere ludico e cerimoniale. Si tratta principalmente di marionette giavanesi. In parte piatte e di cuoio (wayang kulit), erano impiegate nel «teatro delle ombre», la più antica forma di teatro delle marionette indonesiane che risale a oltre un millennio fa. Altre marionette, questa volta di legno e stoffa e lavorate a tuttotondo (wayang golek), costituiscono un genere sviluppatosi dal «teatro delle ombre», con personaggi spesso tratti dalle stesse fonti letterarie, ma che però sono messi in scena senza l’impiego di schermi sui quali proiettare le loro ombre. Il nucleo di opere indonesiane è completato da una maschera balinese raffigurante Rangda, impiegata nell'ambito di danze rituali. La terza sezione dell'esposizione presenta una selezione di stampe xilografiche giapponesi e di dipinti indiani, principalmente di carattere erotico, che esprimono al meglio la tradizione dei rispettivi centri di produzione tra il XVIII e il XIX secolo. L'esposizione è completata da un filmato sul teatro delle ombre indonesiano che aiuta a comprendere meglio il percorso espositivo. La produzione delle opere in esposizione si colloca tra il XVIII e il XX secolo.
Il progetto espositivo "Chimica di un amore" è ideato e prodotto dal Museo delle Culture di Lugano ed è correlato dal relativo catalogo a cura del ricercatore Paolo Maiullari. Si tratta del quinto volume della collana «Antropunti», edita da Giampiero Casagrande editore, che presenta una serie di approfondimenti sulle opere esposte e comprende, accanto al testo introduttivo del curatore Paolo Maiullari, i testi di Junita Arneld, Giulia R.M. Bellentani, Cristina Bignami, Marco Fagioli, Elena Mucciarelli, Elena Preda.